Estratto da “Repensando el mercado del arándano: Estrategias para el resurgimiento argentino” di Facundo Delgado
Negli ultimi vent’anni l’Argentina è passata dall’essere un protagonista di primo piano nel mercato globale dei mirtilli freschi a ricoprire un ruolo marginale.
Nel 2016 il Paese aveva raggiunto l’apice, con oltre 4.200 ettari coltivati e quasi 120 milioni di dollari di esportazioni. Oggi, invece, la superficie si è ridotta del 35% e il volume esportato è calato di oltre il 60%. Questa traiettoria negativa contrasta con l’espansione della domanda mondiale, che continua a crescere trainata dal consumo salutistico, dall’aumento del reddito disponibile e dall’allargamento dei mercati europei, nordamericani e asiatici. L’obiettivo di questo contributo è analizzare le cause del declino argentino e proporre strategie concrete per invertire la tendenza.
Un mercato globale in espansione
La domanda mondiale di mirtilli freschi è cresciuta in maniera esponenziale: da circa 27 mila tonnellate nel 1990 a oltre 700 mila nel 2020, con previsioni che superano il milione di tonnellate entro il 2030. Gli Stati Uniti, i Paesi Bassi e la Germania restano i principali importatori, ma nuovi mercati come Cina e India mostrano tassi di crescita superiori al 15% annuo. Per i Paesi del Sud America, la stagionalità ha rappresentato una finestra di opportunità unica: produrre tra settembre e marzo, quando l’offerta boreale è scarsa e i prezzi raggiungono i valori più alti.
L’Argentina ha colto questa occasione a partire dai primi anni 2000, raggiungendo un volume stabile di circa 15 mila tonnellate annue tra il 2010 e il 2016. Tuttavia, proprio in quell’anno record, iniziò una fase di declino che si mantiene fino a oggi. Nel frattempo, il Perù ha moltiplicato per dieci la sua superficie coltivata, mentre il Cile ha consolidato la sua leadership logistica.
Le sfide strutturali dell’Argentina
Tre fattori principali spiegano la perdita di competitività: i costi di esportazione, la mancanza di accordi di libero commercio e la scala produttiva limitata. Il costo logistico argentino è tra i più alti al mondo: tra il 40 e il 50% del prezzo internazionale del mirtillo, contro meno del 15% di Cile e Perù.
Questo perché il Paese dipende quasi esclusivamente dal trasporto aereo, con un costo medio di 2,5 dollari al chilo, mentre i concorrenti possono utilizzare il trasporto marittimo a meno di 0,8 dollari al chilo. In Argentina, infatti, l’uso della nave è limitato dal rapido deterioramento del mirtillo durante le lunghe traversate oceaniche, che ne riducono la qualità commerciale.
Un altro elemento cruciale è la politica commerciale. Cile e Perù godono di trattati di libero scambio con Stati Uniti e Unione Europea, i principali mercati di destinazione. Grazie a questi accordi, esportano senza dazi, mentre l’Argentina paga tariffe che riducono drasticamente i margini. Infine, la dimensione media dei produttori argentini è ridotta: circa 25 ettari per azienda, contro le centinaia o migliaia di ettari dei giganti peruviani come Camposol o Hortifrut.
A ciò si aggiungono alti costi di energia e manodopera e difficoltà di accesso al credito, che aggravano la situazione.
Lezioni da Perù e Cile
Il modello peruviano si basa su tre pilastri: grandi estensioni (oltre 35.000 ettari), integrazione verticale e innovazione genetica. Le imprese controllano ogni fase: dalla ricerca varietale alla commercializzazione nei supermercati internazionali. Questo consente consegne puntuali e frutta di alta qualità, con una percentuale di reclami inferiore al 10%. Inoltre, il Perù ha saputo attrarre investimenti stranieri, che hanno accelerato il processo di crescita.
Il Cile, pur non crescendo ai ritmi del Perù, ha mantenuto stabile la sua quota di oltre 100 milioni di chili annui, grazie a un mix di esperienza logistica, accordi commerciali e diversificazione varietale. In confronto, l’Argentina ha visto ridurre la sua quota di mercato globale dal 6% a meno dell’1%. L’esperienza cilena dimostra come la stabilità istituzionale e la credibilità internazionale siano altrettanto decisive quanto la tecnologia.
Strategie per il rilancio argentino
Dalle interviste ai produttori emergono quattro linee di azione prioritarie: creazione di cooperative e consorzi per sfruttare economie di scala; diversificazione delle varietà, ampliando la finestra produttiva; adozione di tecnologie agronomiche come la micropropagazione per ridurre i costi; negoziazione di nuove rotte logistiche e apertura di mercati alternativi in Asia e Medio Oriente.
Un’ulteriore strategia è l’integrazione verticale parziale, almeno fino al confezionamento e trasporto, per ridurre gli intermediari. Questo richiede finanziamenti mirati e politiche di sostegno, ma può migliorare la redditività dei produttori medi. Alcuni esempi pilota a
Tucumán e Entre Ríos mostrano come i consorzi possano aumentare la capacità di esportare via nave con sistemi di refrigerazione innovativi.
Voci dal campo: testimonianze dei produttori argentini
Le interviste condotte con produttori di tre regioni strategiche —Concordia (Entre Ríos), Tucumán e El Bolsón (Río Negro)— hanno evidenziato sfide comuni e approcci differenti alla produzione e all’esportazione del mirtillo.
Un produttore di Concordia ha sottolineato il peso dei costi logistici interni: “Il problema non è solo il trasporto aereo: in Argentina manca un’infrastruttura ferroviaria produttiva. Spostare la merce costa troppo anche dentro il paese.” Ha aggiunto che anche i costi energetici rappresentano un ostacolo significativo: “L’elettricità per l’irrigazione incide moltissimo, soprattutto nelle zone più calde.”
Un altro intervistato, attivo nella provincia di Tucumán, ha parlato della necessità di autonomia genetica: “Disegnare le proprie piante è fondamentale. Altrimenti, ogni ciclo di semina comporta il pagamento di royalties alle grandi aziende.”
Queste testimonianze confermano che il rilancio del mirtillo argentino passa non solo da strategie macroeconomiche, ma anche da scelte tecniche e strutturali a livello locale.
Conclusione
Il rilancio dell’industria argentina del mirtillo non dipende solo da fattori agricoli, ma da una trasformazione strutturale che combini innovazione, cooperazione e politiche pubbliche. Senza questi cambiamenti, il Paese rischia di consolidare la propria marginalità. Con un approccio strategico e una visione di lungo periodo, invece, l’Argentina può recuperare un ruolo rilevante, contribuendo alla diversificazione delle esportazioni e alla sostenibilità delle economie regionali.
Facundo Delgado (Laureato magistrale in Economia – Università di Buenos Aires) facudelgadocah@gmail.com