Lucio Alciati su Cuneocronaca ha ripercorso l'introduzione in Piemonte, negli anni '60 e '70, della coltura del lampone nelle valli del Cuneese, ricordando protagonisti e particolari tecnici di quegli anni.
In una recente trasmissione televisiva che trattava temi di gastro-agricoltura si parlava di piccoli frutti ed, in particolare, dei lamponi.
Come diceva giustamente un rappresentante degli agricoltori, ai microfoni di tale servizio, i lamponi erano un tempo ampiamente coltivati nelle valli e fondovalli alpini del cuneese. Poi migrati, in colture specializzate e con varietà omologate, anche in pianura.
La storia dei lamponi nei nostri monti origina in tempi già lontani. Infatti di questi aromatici frutti raccolti da piante selvatiche nelle terre alte e poi venduti a commercianti che venivano a ritirarli a sera, ne parlano o, meglio, ne scrivono bravi testimoni dei tempi trascorsi in accattivanti racconti raccolti in approfondite e dettagliate pubblicazioni locali.
Ricordo vivamente che, nella mia fanciullezza (erano gli anni ’70 del secolo scorso), la Valle Grana in luglio, epoca di raccolta del rubicondo frutto, si trasformava in un frizzante mondo di colori, profumi, chiacchiericcio.
Orde di ragazzini e ragazzotti, su biciclette cigolanti e dagli occhi intorpiditi dal sonno, al mattino presto per mandato famigliare e, in raro se non rarissimo caso, per voglia propria, inondavano la strada di valle per raggiungere il lamponeto che li attendeva carico di infuocati frutti. Così, da farsi qualche soldo per i propri desideri. Il tutto condito dallo stantuffare di baldanzosi motocoltivatori e agili motocarri che si aggiravano freneticamente nelle assolate vie campestri.
Ebbene forse pochi sanno che la coltivazione specialistica del lampone, poi sviluppatasi perlomeno in tutta la provincia, nacque grazie ad un nostro conterraneo , ad un conosciutissimo abitante di Valgrana– terra di ingegno. E per ciò dovrebbe , per come la penso io, essere meritatamente riconosciuto e ricordato da parte della nostra comunità.
Se ne parlava già allora di Bernardino Lerda come lungimirante pioniere di questa che fu ed è tuttavia ancora una risorsa economica importantissima per il nostro ed i vicini territori.
Fu lui che introdusse nei primi anni ’60 i lamponi denominati “Francesi” portando “in valigia” i primi esemplari dalla vicina Francia, dove si trovava per lavoro. Quel gesto, e poi la coltivazione intraprendente, fu la chiave di volta che segnò il passaggio della cultura del lampone da raccolta selvatica a quella metodica e razionale. Bernardino, nella sua ammirevole riservatezza, mi ha solo accennato a questa affascinante “storia nostra” dicendomi che ormai era tempo passato. Ma la frutta cresce grazie alle radici e per tal motivo si deve far di tutto per mantenerle fresche e vive.
Il lampone “Francese” si adattò benissimo alle nostre terre ed, in poco, tempo occupò i tanti campi della valle Grana e dei territori vicini.
Ora di questa varietà dai piccoli e profumati frutti ne rimangono pochi esemplari sparsi qua e là soppiantati da tipologie migliorate che assecondano le richieste di mercato. Ma da noi (e non solo) tutto è nato da lì.