Con un dazio aggiuntivo del 10% imposto dagli Stati Uniti sulle importazioni dal Cile, il comparto dei mirtilli rischia un colpo duro. Il 47% delle spedizioni è diretto proprio in Nord America. Ora i produttori devono rivedere strategie, costi e formati per restare competitivi.
Il Cile si trova a dover affrontare una delle sue sfide commerciali più complesse degli ultimi anni: gli Stati Uniti, suo secondo partner economico dopo la Cina, hanno imposto un dazio del 10% su diverse categorie di prodotti importati, tra cui frutta fresca e trasformata. Un provvedimento che rischia di compromettere uno dei settori simbolo dell’export agroalimentare cileno: i mirtilli.
Quasi la metà nei mercati USA
Con oltre 41.000 tonnellate di mirtilli freschi esportate nella stagione 2023–2024, il Cile si conferma tra i principali attori globali nella produzione di questo frutto, molto richiesto per le sue proprietà nutraceutiche. Gli Stati Uniti assorbono il 47% dell’intero volume di esportazione, rendendosi di fatto il primo mercato di riferimento per i produttori sudamericani.
Un colpo improvviso a questo equilibrio – come l’aumento dei dazi – rischia di far vacillare un intero sistema. “I costi verranno inevitabilmente trasferiti sui consumatori americani, con la conseguente riduzione della domanda. A parità di offerta, questo provocherà un calo dei prezzi e margini più bassi per i produttori,” spiega Ramiro Poblete, agronomo e consulente dell’azienda cilena Accion Fruit.
Strategie alternative per i produttori
Nel tentativo di preservare la sostenibilità economica delle aziende agricole, Poblete propone alcune strategie chiave:
- Efficientamento dei costi produttivi, per ridurre la pressione sui margini
- Diversificazione dei formati, ad esempio investendo nella frutta congelata, più adatta a mercati distanti e meno sensibile alla deperibilità
- Rinnovo varietale, puntando su cultivar più resistenti, produttive e con una maggiore conservabilità
- Cooperazione tra produttori, anche in forma di consorzi o associazioni, per rafforzare la posizione negoziale nella catena del valore
Si tratta di scelte complesse, ma necessarie. L’obiettivo: trasformare una crisi in un’opportunità di rinnovamento del modello agricolo ed export-oriented.
Europa e Asia come alternative
Il 40% dei mirtilli cileni è attualmente destinato al mercato europeo, mentre l’11% va in Asia orientale. In questo scenario di instabilità con il Nord America, queste due aree geografiche diventano centrali nella ridefinizione delle rotte dell’export.
In particolare, l’Unione Europea – grazie agli accordi commerciali già in vigore con il Cile e alla crescente domanda interna – potrebbe diventare un mercato di compensazione. Paesi come Germania, Regno Unito e Italia stanno registrando un consumo crescente di frutti di bosco, soprattutto nel canale GDO e nella ristorazione salutista.
L’Italia, in particolare, ha aumentato i consumi di mirtilli nell'ultimo anno, con un mercato stimato attorno alle 12.000 tonnellate annue, secondo dati CSO Italy. Tuttavia, la produzione interna – concentrata soprattutto in Piemonte, Trentino e Calabria – non copre ancora la domanda nazionale, rendendo il Paese un’importante porta d’accesso per i produttori stranieri.
Prospettive economiche e commerciali
Il problema non è solo commerciale. Secondo Claudio Mancilla, docente di Economia Applicata all’Università di Los Lagos, l’aumento dei dazi potrebbe innescare un effetto domino sui mercati globali, aggravando l’inflazione negli Stati Uniti e contribuendo a un possibile rallentamento economico mondiale.
In un contesto simile, i produttori agricoli cileni – già alle prese con costi di produzione in crescita e sfide climatiche – si troveranno a fronteggiare pressioni economiche multilivello. Non solo a causa dei prezzi di vendita inferiori, ma anche per l’incertezza che potrebbe coinvolgere l’intero indotto agricolo, compresi trasporti, logistica, manodopera e agroindustria.
Nuova diplomazia agricola
Mentre gli effetti concreti dei dazi si manifesteranno con maggiore chiarezza nei prossimi mesi, resta evidente la necessità di un approccio integrato e multilaterale per affrontare le sfide dell’export agroalimentare.
Da una parte, i produttori devono innovare e differenziarsi. Dall’altra, serve un rafforzamento delle relazioni istituzionali e commerciali tra paesi esportatori e importatori, in grado di limitare le distorsioni di mercato e garantire condizioni più stabili per gli scambi internazionali di frutta.
Per il comparto cileno dei mirtilli – e per tutti i paesi dell’emisfero sud che puntano su questa coltura – il futuro dipenderà dalla capacità di trasformare le crisi in strategie. Con lo sguardo rivolto non solo agli USA, ma anche all’Europa e ai mercati emergenti dell’Asia-Pacifico.
Fonte: Berry italiano su dati YouGov