Senza acqua e senza lavoratori, nessuna filiera ortofrutticola può funzionare. Questo non è più un semplice slogan, ma una constatazione concreta che riguarda tutte le principali aree di produzione di piccoli frutti a livello globale.
Eppure, appena tornano condizioni favorevoli, la volontà collettiva di affrontare seriamente queste criticità tende a svanire.
Una crisi che non conosce confini
Regioni da sempre caratterizzate da scarsità idrica, come Israele e il sud della Spagna, hanno fatto scuola in termini di ottimizzazione. Tecnologie come la microirrigazione e la fertirrigazione sono ormai diffuse in tutto il mondo, contribuendo senz’altro a migliorare la gestione delle risorse idriche e la produttività.
Tuttavia, nemmeno l’innovazione ha potuto evitare le drammatiche conseguenze della siccità prolungata: negli ultimi cinque anni, vaste aree coltivate a agrumi in Marocco e mandorleti in California sono state abbandonate per mancanza d’acqua.
Anche in territori colpiti ciclicamente dalla siccità – come California e Penisola Iberica – si sono viste risposte tardive, attivate solo dopo drastici tagli nelle assegnazioni idriche. È stato il caso recente di Huelva, in Spagna, e della regione portoghese di Zambujeira, dove solo la stretta emergenza ha costretto produttori e istituzioni a collaborare, superando i consueti steccati politici.
Buone pratiche e strategie governative
Non mancano, fortunatamente, segnali positivi. Alcuni esempi:
In Portogallo, è stato finalmente ammodernato il sistema di distribuzione della diga di Santa Clara, nella zona di Odemira.
Sempre in Portogallo, il piano nazionale “Água que une” mira a rinnovare le infrastrutture idriche a livello sistemico.
In Marocco, la strategia nazionale prevede un ampio programma di impianti di desalinizzazione, come quello già attivo ad Agadir.
Tuttavia, l’Europa continua a registrare temperature da record tra giugno e luglio, e perfino il Regno Unito sta valutando nuove restrizioni all’uso agricolo dell’acqua. Il punto è chiaro: senza una vera responsabilizzazione nell’uso della risorsa, nessuna politica potrà reggere all’urto climatico.
Snellire la governance idrica
La gestione pubblica dell’acqua resta spesso frammentata. In molti paesi, fino a sette enti diversi possono avere competenza sullo stesso bacino. Serve una governance chiara e centralizzata.
Paradossalmente, in alcuni casi, chi utilizza l’acqua in modo più efficiente viene persino penalizzato da meccanismi normativi distorti. E anche sul fronte legale mancano certezze, soprattutto in merito ai diritti d’uso e ai volumi assegnati.
In Portogallo, per esempio, può accadere che il Ministero dell’Agricoltura approvi e finanzi progetti di raccolta idrica, mentre altri enti pubblici ne bloccano la realizzazione. Senza una cabina di regia unica e operativa, la transizione verso un uso sostenibile dell’acqua rimane impantanata nella burocrazia.
E i produttori?
Le domande che gli operatori del settore dovrebbero porsi sono urgenti e concrete:
I nostri diritti idrici sono aggiornati? I pozzi sono registrati correttamente?
Rispettiamo i limiti di prelievo autorizzati?
Monitoriamo i consumi in modo accurato e trasparente?
Ci stiamo attivando per migliorare l’efficienza, la distribuzione e la qualità dell’acqua, anche prevenendo l’inquinamento?
Tecnologie e nuove consapevolezze
Fortunatamente, la tecnologia può aiutare. Strumenti come quelli sviluppati da Waterplan e Renewable Group permettono oggi di mappare i rischi idrici in tempo reale e modellare gli scenari futuri.
Tuttavia, realtà relativamente stabili come quella del Perù stanno diventando sempre più rare.
Il punto di fondo resta la valorizzazione dell’acqua. Dove l’approvvigionamento dipende da impianti a osmosi inversa, il costo dell’acqua è più trasparente e vicino al suo valore reale, anche se sovvenzionato.
Altrove, invece, il prezzo copre solo il pompaggio e la distribuzione, ignorando del tutto il valore strategico della risorsa.
Nel prossimo approfondimento sarà la volta del lavoro agricolo, l’altra metà della crisi strutturale che attraversa il nostro settore.
Fonte testo e immagine: internationalblueberry.org