In un momento storico in cui la scarsità d’acqua è sempre più riconosciuta come una minaccia concreta per la stabilità della produzione agricola, anche la disponibilità di manodopera entra a pieno titolo tra i fattori critici per il futuro dell’orticoltura e, in particolare, della filiera dei piccoli frutti.
Se nel caso dell’acqua si parla di necessità condivise e di impatti sistemici che richiedono trasparenza e cooperazione, la questione lavoro si presenta con sfumature più complesse e contraddittorie: da un lato la necessità collettiva di agire in modo responsabile, dall’altro le opportunità competitive per chi riesce a gestire la manodopera in modo più efficiente.
Una carenza globale
Oggi, con l’eccezione di alcune aree dell’Africa subsahariana e dell’Asia, quasi tutte le regioni produttrici di mirtilli e piccoli frutti soffrono di una crescente carenza di lavoratori agricoli, soprattutto nei periodi di raccolta. Questo fenomeno, già consolidato in Stati Uniti, Canada, Europa occidentale e Regno Unito, ha iniziato a manifestarsi anche in Cile ed Europa orientale. Ma la novità più significativa riguarda proprio quei Paesi che, fino a pochi anni fa, rappresentavano le principali fonti di manodopera migrante.
Un caso emblematico è il Messico, tradizionalmente il cuore della forza lavoro agricola per gli Stati Uniti. Fino al 2010-2015, la disponibilità interna di lavoratori sembrava non essere influenzata dalle migrazioni verso l’estero. Oggi, invece, molte zone agricole del centro del Paese dipendono dai flussi migratori interni e persino da Paesi centroamericani. Proprio in questa direzione va un accordo recente tra il Senato messicano e il governo del Guatemala, promosso da AHIFORES e dal Consiglio Agricolo Messicano (CNA).
Altro esempio rilevante è il Marocco, dove negli ultimi anni si sono registrati gravi problemi di manodopera nei mesi primaverili, soprattutto durante il Ramadan, che coincide con i picchi di raccolta. Alcuni produttori stanno valutando il ricorso a lavoratori provenienti dall’Atlante o da Paesi vicini come Senegal, Tunisia e Algeria. Un paradosso per un Paese che conta alti tassi di disoccupazione giovanile.
Serve una strategia
La conclusione è chiara: la manodopera migrante resterà una componente essenziale per la sopravvivenza dell’orticoltura e dell’agroindustria. Per questo, serve con urgenza una riforma e un aggiornamento dei programmi per i lavoratori migranti. È necessario costruire una rete di collaborazione tra imprese agricole, governi e organizzazioni internazionali come ILO, OIM e MPI, oltre a realtà nazionali come SIZA (Sudafrica), AHIFORES (Messico), ETF (Spagna), FNET e FPC (Regno Unito).
Tra le buone pratiche da sviluppare e condividere ci sono i modelli canadesi, il programma H-2A statunitense in fase di revisione, le politiche del Ministero dell’Interno del Regno Unito e i programmi di migrazione agricola attivi in Portogallo.
Innovare sul campo
Anche le iniziative individuali possono fare la differenza, a partire da una migliore organizzazione dei flussi di lavoro, l’utilizzo di robot e macchine per la raccolta, strumenti adeguati e incentivi alla produttività (come la revisione dell’Articolo 3 in Spagna). Altri esempi includono:
- Miglioramenti genetici delle varietà per facilitare la raccolta
- Bilanciamento vegetativo/generativo
- Adozione di innovazioni come il sistema naturAll di Hortifrut
- Gestione attenta della densità e della nutrizione (es. riduzione dell’azoto)
- Condizioni di lavoro dignitose: bagni e aree ristoro adeguate
- Formazione continua e valorizzazione interculturale
In Portogallo, ad esempio, ci sono aziende che gestiscono fino a 15 diverse nazionalità all’interno dello stesso campo.
Infine, un obiettivo ambizioso, ma fondamentale: rendere il lavoro agricolo una scelta attrattiva e rispettata, anche agli occhi di consumatori e clienti.
Guardando avanti
Tre considerazioni finali meritano attenzione:
IBO ha lanciato "BlueCareers", una sezione dedicata alle opportunità professionali nel settore, disponibile sul portale ufficiale. Uno strumento utile per far incontrare domanda e offerta di lavoro.
La riduzione delle ore settimanali in Paesi come Spagna e Messico rappresenta un potenziale ostacolo critico: in piena stagione, si passa da oltre 60 a sole 38 ore settimanali, con ricadute importanti sulla raccolta.
Anche il Guatemala, da cui oggi il Messico cerca manodopera, inizia a registrare a sua volta carenze nel settore agricolo. Un’ulteriore prova che la questione lavoro non può più essere gestita in modo frammentato, ma va affrontata con visione globale e cooperazione multilaterale.
Fonte testo e immagine: internationalblueberry.org