30 ott 2024

Luca Rivoira: “Bisogna lavorare sulla conservazione del mirtillo per guadagnare terreno all’estero”

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Occorre investire in tecnologie per preservare la qualità del mirtillo durante le fasi di post raccolta se si vuole competere con i Paesi come la Turchia, la Serbia o la Romania sui classici mercati di destinazione del mirtillo italiano: Germania e Gran Bretagna.

Luca Rivoira, responsabile vendite e marketing di Retarder, azienda fondata da suo padre Aldo, è convinto che la competitività e la reputazione dei piccoli frutti italiani dipenda in parte anche da come questi vengono conservati e consegnati agli acquirenti.

Il ruolo della conservazione nella qualità del prodotto

“Fino a quando si vende sul mercato italiano non ci sono grosse problematiche di conservabilità per i il mirtillo – ci ha raccontato Luca Rivoira – ma quando si affrontano 5 o anche 7 giorni di viaggio, le variabili delle quali tenere conto sono tante.

Le contestazioni possono andare da muffe a marcescenze, dal rammollimento del frutto a una maturazione eccessiva. Con le nuove problematiche climatiche, per esempio le piogge eccessive, diventa difficile conservare il prodotto. Il packaging può essere un valido aiuto anche se, è bene ricordarlo, la qualità parte dal campo”.

Serbia, Turchia e Romania, il mirtillo cresce

Retarder, azienda piemontese fondata nel 2001 da Aldo Rivoira, si è concentrata prima sulle soluzioni per la conservazione dell’ortofrutta, in cella e durante il trasporto e poi, in tempi più recenti si è dedicata anche al packaging per migliorare la shelf-life dei prodotti.

E’ attiva un po’ in tutto il Sud e l’Est Europa anche se, per quanto riguarda i piccoli frutti specificamente, il suo raggio d’azione è concentrato in Italia. Guardando proprio a piccoli frutti, questi rappresentano, in media, circa il 10% del fatturato di Retarder.

Tornando sulle convinzioni di Luca Rivoira, in effetti, i dati più recenti della coltivazione del mirtillo, da poco pubblicati da IBO (International Blueberry Organization), confermano che Paesi come Serbia, Turchia e Romania stanno crescendo.

Sono passati, fra il 2021 e il 2023, rispettivamente da 5.000 tonnellate prodotte per il consumo fresco a 20.000 t, da 2.720 tonnellate prodotte a 5.260 t e da 6.000 t a 14.000.

Gli operatori e la catena del freddo

Quali dunque le trasformazioni cui si è assistito negli ultimi 5 anni, rispetto proprio alla coltivazione di mirtillo in Italia? Proprio 5 anni fa, infatti, si tenne a Bologna il primo evento che riunì gli addetti ai lavori, il ‘Mirtillo Business Day’:

“Guardando al comparto, personalmente, abbiamo visto allargarsi la finestra di produzione – ha detto ancora Rivoira – grazie a nuove varietà. Il periodo di produzione era più breve in passato. Sono poi aumentanti gli operatori commerciali che trattano la referenza e, dal punto di vista specificamente del packaging, oltre all’aumento delle grammature, sempre di più la GDO chiede il film termosaldato piuttosto che coperchiato.

I nostri clienti, ad oggi, confezionano in RPet ma c’è ultimamente un po’ di aumento nella domanda di soluzioni in carta, cartone o polpa di legno.

Credo che a spingere in questa direzione siano soprattutto questioni di differenziazione commerciale e di marketing perché, per quanto riguarda il mirtillo, il cartone non vanta caratteristiche tecniche superiori all’RPet.

Attenzione alla conservazione per difendere l’immagine del mirtillo italiano

Lo stesso, secondo Luca Rivoira, non si può dire per quanto riguarda il packaging attivo o, in generale, il packaging in grado di proteggere maggiormente il frutto, prolungandone la shelf life e conservandone la qualità organolettica e le caratteristiche gradite al consumatore: sapore e croccantezza, prima di tutte.

“Non c’è assolutamente attenzione da parte degli attori della filiera alla salvaguardia delle caratteristiche del prodotto. Anche i mirtilli che sono destinati all’esportazione, sono quasi sempre spediti in scatole da 2,5Kg, alla rinfusa.

Naturalmente il cliente che riceve la merce può sollevare contestazioni. Io credo che fino ad ora, in Italia – ha continuato Rivoira – ci si sia concentrati sulla produzione, sulla necessità quindi di garantire la continuità di prodotto.

Ora che iniziano ad esserci i volumi, bisogna differenziarsi da altri Paesi che si presentano sul mercato. E’ anche una questione d’immagine del prodotto italiano”.

Il mirtillo fa parte dei frutti non climaterici, ovvero quei frutti che non maturano più dopo essere stati raccolti. Pur non maturando, dopo la raccolta, il mirtillo evolve e con il distacco dalla pianta comincia a invecchiare.

“Servono investimenti nella direzione della conservazione, le soluzioni ci sono, vanno implementate. In Paesi del Sud America, per esempio il Perù, queste soluzioni sono già adottate.

Certo, in Italia, gioca a sfavore la frammentazione delle produzione. Spesso – ha continuato, riflettendo, Luca Rivoira - non c’è massa critica sufficiente per pensare di investire”.

Soluzioni di packaging per aumentare la shelf life

Fra le soluzioni già a disposizione e usate su altra frutta ci sono i sacchetti in atmosfera modificata (MAP): “Non solo non vengono utilizzati, ma neanche sono presi in considerazione.

Non ci si pone il problema per i mirtilli, eppure, come ciliegie o kiwi, sono frutti ad alto valore aggiunto. Con il confezionamento in sacchetti MAP, la diminuzione dell’ossigeno e la maggior presenza di CO2 portano a una riduzione del tasso di respirazione, con il conseguente aumento della shelf life.

“Ci sono poi soluzioni – ci ha spiegato ancora Rivoira – come l’assorbimento di etilene e composti volatili. Un’altra opzione interessante che si può applicare anche al mirtillo è l’uso di rivestimenti protettivi.

Si fa già con l’uva da tavola. Sono cere naturali che vengono nebulizzate. Si tratta di additivi alimentari, senza alcuna controindicazione quindi, che aiutano a rallentare il processo di senescenza”.


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